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I cinque rimpianti più grandi

Aggiornamento: 8 ago 2022

Già Pascal ce lo ricordava: "Affinché le passioni non vi nuocciano, vivete come se vi restassero 8 giorni di vita".



Non parlerò di cose particolarmente allegre e me ne scuso, ma avete mai immaginato di trovarvi nella condizione di sapere con certezza di avere pochi giorni di vita davanti a voi? Qual è la cosa più terribile che può accadere in quel momento?

Credo che sia il rendersi conto di aver vissuto una "vita sbagliata" e di ritrovarsi a maledire se stessi per tutte le occasioni perse o per tutte le volte che si è rinunciato a qualcosa di importante e che, poi, è andato perso per sempre.


Bronnie Ware un bel giorno decide di mollare il lavoro in banca che avvertiva come terribilmente "stretto" per lei, per dedicarsi alle proprie passioni. La sua vita diventa più che avventurosa e per alcuni anni si ritroverà nel ruolo di "dama di compagnia" specializzata nell'accudire persone con malattie terminali. L'incontro con la morte diventa la sua quotidianità e grazie a questa esperienza decide di raccontare le "lezioni di vita" che ha ricevuto sul letto di morte.



Quanto pesano ogni giorno le aspettative che gli altri hanno su di noi e della "società" in genere? L'importanza che decidiamo di concedere al giudizio che gli altri hanno di noi tenderanno, nel tempo, a trasformarsi in vere e proprie catene che ci impediranno di fare ciò che sentiamo ardere dentro.


"Grace aveva condotto la vita che ci si era aspettati da lei. Aveva cresciuto di figli adorabili e adesso gioiva dei nipoti, ormai adolescenti.

[...]

Adesso che stava morendo, non le importava niente di quello che pensava la gente di lei, e si angustiava di non aver sviluppato prima questo atteggiamento. Grace aveva salvato le apparenze e aveva vissuto come si aspettavano gli altri. Aveva capito solo ora che la scelta era sempre stata sua e che era stata basata sulla paura".


La paura di ritrovarci soli e "ai margini" alimenta il bisogno che abbiamo degli altri, del loro affetto e della loro considerazione. Se tutto ciò è assolutamente sano nelle giuste modalità e ci spinge a entrare in relazione con le altre persone, se spinto all'eccesso può far diventare "l'altro" il riferimento assoluto attorno al quale ruota tutta la nostra vita, condannandoci al perdere di vista la nostra identità, i nostri desideri e le nostre passioni.


Chi riesce a vivere al di là del bisogno degli altri, del loro giudizio, del loro affetto, della loro comprensione e del loro perdono, può considerarsi libero. "Il saggio basta a se stesso", affermava Seneca, ed è grazie a questo che è pronto per l'incontro con l'altro: un incontro fondato più sul desiderio di arricchire la propria vita che per "tamponare" un vuoto.


"John era felice dello status che gli conferiva il suo lavoro. Mi confessò che non era il lavoro a piacergli, ma la posizione che gli dava in società e tra gli amici. La corsa per chiudere un affare era diventata una specie di droga per lui.

Una sera, mentre la moglie Margaret in lacrime lo supplicava di andare in pensione, guardò quella bella donna e si rese conto che non solo desiderava disperatamente la sua compagnia, ma che adesso erano vecchi. Quella donna meravigliosa aveva aspettato pazientemente che lui smettesse finalmente di lavorare".

Otto mesi prima di quel traguardo, Margaret iniziò a stare male e nel giro di poche settimane morì.

E a John rimase solo il rimpianto di non essere riuscito ad esaudire il desiderio della persona che più amava e che gli chiedeva semplicemente di godersi un poco la vecchiaia viaggiando.

"Guardandomi con un mesto sorriso mi disse: "Se posso lasciare qualcosa di buono nel mondo oltre alla mia famiglia, voglio che siano queste parole: non lavorare troppo. Cerca di mantenere un equilibrio. Fa' in modo che il lavoro non sia tutta la tua vita".



"Vedere l'angoscia provata da Jozsef per la sua incapacità di esprimere i propri sentimenti mi spinse a essere determinata e coraggiosa nel condividere i miei. I muri della mia riservatezza si stavano gradualmente sgretolando e inizavo a chiedermi come mai abbiamo così paura di aprirci e di essere sinceri. Ovviamente lo facciamo per evitare il dolore che potrebbe sopraggiungere in cambio della nostra onestà. Ma quegli stessi muri che innalziamo per proteggerci causano sofferenza, impedendo agli altri di scoprire chi siamo veramente.

Vedere le lacrime scendere sul viso di quel bravo vecchio che desiderava tanto essere conosciuto e capito, mi cambiarono per sempre."



Nel momento del dramma, quando si ha il massimo della lucidità per discriminare ciò che ha avuto importanza da ciò che non ne ha avuta, torna alla ribalta il valore delle relazioni umane, capaci di regalare piacevolezza e attribuire significato all'esistenza.

Siamo animali sociali e nonostante le costanti difficoltà che sono da mettere sul piatto per mantenere profondi legami con gli altri, il sentire di poter avere sempre qualcuno su cui poter contare è fonte di grande gioia e serenità.


Nella routine di ogni giorno si finisce col dare per scontato un'infinità di cose. Le giornate passano una dopo l'altra e presi da mille impegni, mille necessità, mille distrazioni, non riusciamo ad entrare in contatto con il bello che, quotidianamente, ci capita di incontrare.

"Sì, la felicità vuole fluire fino a noi. Ma senza riconoscenza, e se non ci concediamo di viverla, le impediamo di raggiungerci. La maggior parte della gente non si rende conto della fortuna che ha".

E mi viene da pensare all'importanza che avrebbe il riuscire a recuperare il sentimento "rivoluzionario" della gratitudine, ormai dimenticato e fuori moda.


Riassumendo, il testo è un viaggio in parallelo tra gli incontri dell'autrice nel suo ruolo di "dama da compagnia" e la sua personale esperienza di vita. Gli elementi si intrecciano continuamente, rendendo la lettura, in alcuni momenti, un poco frammentata e caotica.

Ma la lettura è assai stimolante e ci viene offerta la possibilità di "giocare d'anticipo". Toccherà a noi decidere se prendere spunto da questi racconti o se lasciarli cadere nel vuoto.



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